SPEDALE DE' PAZZI DI FREGIONAIA A LUCCA
Con la bolla di Papa Clemente XIV del 27 novembre 1770 si stabilisce la soppressione del medievale Monastero dei Canonici regolari Lateranensi di Fregionaia, posto a breve distanza da Lucca, e il passaggio dei suoi beni allo Spedale di San Luca della Misericordia, antica istituzione assistenziale presente nella città dal 1262. Lo attesta l'epigrafe marmorea oggi visibile sul muro sinistro del vestibolo d'igresso.
L'invidiabile ubicazione su un colle circondato da terreni coltivati, in posizione panoramica sulla pianura circostante e la singolare conformazione architettonica dell'ex convento organizzato intorno a due grandi chiostri affiancati, rendevano il sito particolarmente idoneo ad ospitare la riabilitazione fisico-mentale dei folli. Fregionaia diverrà punto di riferimento per le altre istituzioni toscane, fondate nel secolo successivo, grazie alla sapiente ripartizione degli spazi per la cura, apprezzata dai numerosi alienisti che nel corso del tempo vi opereranno, su tutti Mario Tobino la cui testimonianza è tramandata dall'omonima fondazione che oggi qui risiede. Dopo la redazione del Regolamento, ispirato all'organizzazione della Casa dei Pazzerelli di Santa Dorotea a Firenze, il 20 aprile 1773 è decretata ufficialmente l'apertura dello Spedale de' Pazzi di Fregionaia e il giorno seguente giungono i primi diciannove malati. Sfruttando l'impianto a duplice peristilio preceduto da un cortile più piccolo con funzione di atrio d'accesso, il cortile orientale è assegnato alla sezione maschile, ravvisando in quello occidentale le condizioni migliori per il settore femminile. Nel 1830 l'ingegner Giacomo Marracci è incaricato di una prima riorganizzazione dell'ospedale al fine di aumentarne la capacità ricettiva, ma per l'eccessico costo della modifica proposta il progetto viene accantonato, optando per una meno costosa riorganizzazione degli spazi esistenti secondo una modesta variante proposta dallo stesso nel 1832. A distanza di pochi anni la necessità di reperire nuovi spazi si riaffaccia con urgenza, ma si deve attendere la seconda metà del secolo quando per iniziativa dell direttore Gaetano Cappelli,
l'amministrazione ospedaliera affida l'incarico all'architetto Giuseppe Pardini a cui è demandata la guida del cantiere per alcuni decenni. Gli interventi mirati a soddisfare le esigenze della moderna pratica alienistica e igienica, oltre che a rispondere al forte incremento dei malati verificatosi attorno alla metà del secolo, contemplano vari e successivi progetti di ampliamento redatti in collaborazione dello dtesso Cappelli a partire dali anni cinquanta fino all'ultimo, datato 1868, quasi fedelmente realizzato fra il 1870 e il 1876.
Il primo studio ipotizza la creazione di bassi padiglioni i cui corpi appaiono caratterizzati ciascuno dalla presenza di un cortile interno e da due bracci simmetrici inglobanti la preesistente struttura ospedaliera.
Il secondo progetto redatto nell'agosto del 1854, con l'inserimento del complesso originario in un sistema sviluppato trasversalmente e articolato a bracci. Tuttavia anche questa formulazione non trova attuazione, ad eccezione dell'esedra semicircolare alta sulla vallata settentrionale e del padiglione nord-ovest e dunque Pardini riformula una nuova ipotesi di sistemazione a distanza di quattordici anni..
Nell'ultimo progetto, sicuramente il completo, il Nostro traduce l'ampliamento del vecchio nucleo ricorrendo al sistema a padiglioni sparsi ma riuniti da porticati e affiancati da ampi giardini. Acquista nuova luce la grande struttura a mò di rotonda addossata al lato nord sul modello degli antichi impianti termali romani. I bagni acquistano valore come strumento terapeutico. Il disegno si disvela nell'accrescimento dell'ospedale sia ad est che ad ovest, secondo una disposizione marcatamente simmetrica, con la creazione di due comparti nettamente distinti. I passaggi coperti danno accesso a quattro nuovi corpi di fabbrica, due per parte, destinati al ricovero degli alienati che, notevolmente distanziati tra loro da aree verdi, creano due corti aperte verso meridione. La proposta pardiniana corrisponde ai dettami della normativa e della tecnica ingegneristica e architettonica relativa agli organismi sanitari rispettando l'orientamento dei fabbricati secondo la direzione nord-sud, l'altezza a due piani e l'impiego di ampie finestre in grado di assicurare un'areazione e un'illuminazione ottimali. La prima ad essere realizzata è l'ala ovest, quella femminile e si può ipotizzare che nella fase iniziale siano costruiti padiglioni a doppiaT e i relativi portici tasversali di collegamento. Anche l'ultima variante progettuale vede l'antico impianto accresciuto verso sud, per uffici e alloggi impiegati, mediante l'addizione di alcuni padiglioni che vanno a racchiudere il chiostrino entro due ali in grado di conferire un prospetto monumentale a questo lato del complesso. Nodo nevralgico dell'intero impianto rimane il nucleo centrale riservato ai degenti meno gravi. i "tranquilli" e i "convalescenti". Da qui si giunge gradualmente ai reparti per i "deboli" e gli "infermi" fino alle estremità , a est e ovest, in cui sono confinati i "furiosi". Per le attività lavorative sono individuati i piani seminterrati. Nel 1877 Pardini predispone i disegni per l'ampliamento dell'ospedale dal lato orientale, corrispondente alla sezione degli uomini, affidando la direzione a Lorenzo Fambrini che lo porta a termine nel 1882. Ancora oggi l'Ospedale di Fregionaia rispetta in gran parte tale disegno planimetrico. Scelte diverse sono state compiute nell'ambito
estetico-formale, probabilmente a causa delle pressioni delle istituzioni restie a finanziare interventi ritenuti non stettamente indispensabili. Per cui maggiormente sacrificata quella ricerca di solennità e monumentalità che avrebbe dovuto caratterizzare soprattutto i prospetti. Dal secondo decennio del secolo scorso l'intero complesso ha conosciuto una riorganizzazione generale e con la costruzione di vari fabbricati distanziati dal nucleo principale ha finito per acquisire la fisionomia tipologica intermedia tra quella compatta e diffusa. Sono stati costruiti nuovi padiglioni, tra cui quelli destinati ai pazienti affetti da malattie infettive quali la tubercolosi (il primo risale al 1913, nato per accogliere entrambi i sessi viene destinato ai soli uomini con la creazione del padiglione femminile dieci anni dopo), il padiglione San Cataldo per l'accettazione e osservazione (1939), il complesso delle officine (lavanderia, magazzini) dal 1919, l'edificio per i ragazzi, presumibilmente costruito intorno al 1931, cui segue il fabbricato per i bambini, non solo quelli affetti da disturbo ma anche dei figli dei pazienti, collocato vicino alla colonia agricola, smantellata nel 1939 per la realizzazione del comparto d'osservazione, in una posizine del tutto isolata rispetto al nosocomio, istituto medico pedagogico, come venne allora chiamato, e il padiglione Vedrani, destinato ad acogliere durante la notte pazienti ritenuti innocui per la società (fine anni sessanta). Quest'ultimo è completato a breve distanza dalla promulgazione della Legge Basaglia che decreta la chiusura dei manicomi italiani.Nel caso di Maggiano le procedure per la cessazione dlle sue attività terminano nel 1999.
Fonte: I complessi manicomiali in Italia tra Otto e Novecento