Memorie di uno Zuccherificio

                                                                   Memorie di uno Zuccherificio

                                                                      ‘L’incontro tra Etruria ed io’

Mi ricordo quando ascoltavo ‘last dance with Mary Jane,’ ero malata e avevo scoperto da poco che cos’ era l’Esplorazione Urbana. Avevo una banalissima influenza: la testa mi scoppiava e mia mamma, col suo aspirapolvere,  mi urlava dal corridoio di andarmene a letto. Non ce la facevo. Non riuscivo a  distogliere gli occhi dallo schermo del computer. Quelle foto erano così belle, i posti così vivi, e un’insana voglia s’infondeva dentro di me. -I feel summer creeping…- canticchiavo,  e la febbre si alzava. Quella fabbrica arrugginita di New York era enorme: nelle stanze c’erano stracci ammucchiati, sui muri  caotiche scritte che accompagnavano il silenzioso riposo delle turbine bronzee. E poi ancora, un ospedale a Los Angeles, brulicante di truci ricordi che vivevano attraverso l’obiettivo dell’esploratrice che tanto avrei voluto essere io.  Da quel giorno l’idea di esplorare luoghi in decomposizione si ancorò alla mia mente. Mi guardavo in torno, quando mi trovavo sull’autostrada, nell’auto in corsa,  selezionavo ogni cosa, cercavo, scrutavo l’inizio di una nuova avventura. Immaginavo le scale, i muri con l’edera e come quel tutto sarebbe stato immortalato nella mia memoria cartacea.

La prima volta che feci un’ esplorazione urbana ero da sola. Mio padre mi accompagnò alla vecchia fabbrica e visto che aveva un braccio ingessato, mi mostrò come sarei potuta passare sotto la rete arancione: senza pensarci due volte m’intrufolai subito in quel passaggio. Non era proprio quello che voleva mio padre però… lo notai: era disarmato non si aspettava quello scatto. Ma, potevo mai tornare indietro una volta dentro al mio desiderio più grande? Quella fabbrica enorme, con quella bella ciminiera ossessionava i miei pensieri da mesi, ed ora mi trovavo finalmente al suo cospetto. M’incamminai verso un’ entrata, sentivo solo tre cose: il mio cuore che batteva forte, il mio respiro affannato e le lucertole in fuga tra l’erba alta. Cominciai a fare i primi scatti e a ogni suono che emanava la mia F55 si levavano dal tetto del capannone stormi di piccioni. Mentre i miei anfibi posavano sulla soglia di un’entrata, ed io ero stupefatta ad ammirare un enorme turbina arrugginita (che solo dopo ,la mia bidella di scuola, mi spiegherà che quella turbina, in realtà, era il motore di tutto il complesso industriale), la suoneria del mio telefono cominciò a suonare e a confondersi al frastuono delle cicale: all’altro capo del ‘filo’, mio padre, che mi vietava di entrare nella fabbrica. Lo rassicurai dicendogli che stavo fotografando delle vetrate esterne anche se ,in realtà, mi trovavo sotto la turbina.

Non mi addentrai mai nelle profonde viscere dello Zuccherificio Etruria, non varcai mai le invitanti porte che, scardinate, m’invitavano a vedere, a immortalare, a ricordare.

Feci due rullini di scatti, e ancora oggi, guardandole mi sembra di sentire quell’odore forte e nauseante di anni e anni di abbandono, vengo tutt’oggi accecata dalla luce di quel giorno caldo di luglio. E’ come se ancora camminassi sui vetri e sui mattoni infranti al suolo: è ancora tutto com’era allora, nella mia mente,  nel mio ricordo vivido. Sfoglio le pagine dell’album e rivedo la grande stanza piena di contatori e scale arrugginite, e all’improvviso risono là. Di nuovo provo l’istinto di alzare gli occhi oltre le tubature polverose e rivedo il ‘Varco’: il frammento di cielo. Quell’enorme spaccatura nel tetto che permette alla luce di regnare là dove hanno sempre regnato le tenebre: l’oscurità dell’abbandono.

 

                                                                                                                Elvira Macchiavelli

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Commenti

angelo
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re: Memorie di uno Zuccherificio

lunedì 21 giugno 2010 22:05:31

Abbiamo tutti quest'attrazione magnetica per tutto ciò che è abbandonato e rimasto all'incuria del tempo....Sentiamo questo elemento che ci accomuna tutti:-Entrare è più forte di noi.....Case diroccate,fabbriche smantellate e manicomi vuoti e pieni di vegetazione incolta e selvaggia.....Più ci avviciniamo a queste costruzioni di un più o meno remoto passato.....Più la tenacia d'entrare si fa più forte....E'meraviglioso vedere una finestra con una persiana che sbatte al rumore del vento...Intravedere tra le sue fessure l'oscurità o il cielo dietro di essa....Magari per colpa del solaio crollato....Siamo come in trance....E la macchina fotografica insieme agli occhi della memoria marcano queste immagini nella nostra mente....Come quando ero bambino che mi intrufolavo nei ruderi tutt'ora esistenti della mia lucchesia....

Angelo Borrini

 

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