Come percossa da un demone deciso a dichiarare guerra alla nobiltà per arroccarsi nella residenza dell’oblio, la villa della grazia perduta, rimane un luogo affascinante e misterioso da esplorare. La dimora, appartenuta a ricchi commercianti, si erge silenziosa e ammantata nel suo intonaco giallo scrostato da dove piangenti persiane si lasciano cullare dolcemente dalle finestre infrante. Oltre l’arco dell’ingresso, lungo un colonnato, si arriva ad una scala ampia e grigia.
Su.
Per un attimo, la vista rimane accecata dagli ultimi raggi del sole, che nel suo calare, fendono le porte divelte del salone. Quest’ultimo coronato da un grande affresco rappresentante un’iconologia e lo stemma di famiglia.
Oltre
un corridoio di legno che, accogliente, si lascia percorrere mentre le Dee mitologiche dai vestiti logori ti accompagnano con i loro invincibili sguardi.
Infine
una scala a chiocciola, stretta, buia, invitante.
Un profumo fruttato, come di gelsomino, investe il primo pianerottolo, strano: lo percepisco soltanto io.
Al piano terra soltanto scarne stanze devastate e in penombra dove l’unica antichità a sopravvivere è un piccolo rilievo di una cetra dorata, un piccolo frammento di questa eccelsa villa settecentesca.
Elvira Macchavelli