Esisteva un piccolo borgo abbandonato vicino a casa: quattro dimore, una villa padronale di 73 stanze, una chiesa e un cimitero: quattro elementi capaci di affascinare chiunque.
Se poi associate a questi l’ aggettivo ‘abbandonato’ il tutto elettrizza le torce, prepara gli anfibi e carica la macchina fotografica con il rullino Kodak.
Si, quando andai a Buriano la prima volta era il 2008 e con me c’era una Nikon F55 e la voglia di intraprendere una, di quella che sarebbe stata, l’ennesima avventura.
Il primo giorno del terzo anno di superiori decidemmo di andare al borgo di Buriano. Il piccolo paese, immerso nelle colline toscane, è totalmente isolato: una stretta strada di campagna, i verdi cipressi e un silenzio antico avvolgono l’area. Edificato nel 1883 dalla famiglia francese Rochefort, (così riporta una targa posta nella canonica della chiesa Santissima Annunziata), il paese era un piccolo angolo di paradiso che credeva nella prosperità, sperava nell’abbondanza del mangiar bene e sempre avrebbe brindato alla lunga vita di Buriano.
Tuttavia la sfortuna si abbatté sul piccolo paese, rimasto isolato anche a causa dei nuovi piani stradali. In più un terremoto, un declino finanziario generato dalla crisi delle vicine miniere (ancora visibili ma inesplorate) segnarono le sorti di Buriano. Fino agli anni ’60 rimase propietà della famiglia Rochefort e la villa rivelò la funzione di pastificio sino a questi anni, quando una crisi mezzadrile fece diminuire sempre di più la popolazione.
Non si hanno notizie del borgo fino al 1997 quando la locanda del paese e tutta l’area, compresa la villa padronale e la chiesa, furono acquistati dal medico svizzero U.B. Il progetto ambizioso di quest’ultimo prevedeva la costruzione di una grande beauty farm (20 miliardi di lire per risollevare il paese) che venne ostacolata da intoppi burocratici dettati dalla Soprintendenza. Anche la locanda, da poco riaperta, è costretta a chiudere: gli ultimi calendari sono datati 1998, data ufficiale del definitivo abbandono di Buriano.
La prima volta non si scorda mai: nella chiesa buia, oltre l’altare
(edificato nel 1897 dal volere del Barone di Rochefort in onore della Vergine come protettrice della devota consorte, la marchesa Chabannes La Palice Anna Ottavia e delle loro famiglie )
percepimmo un brivido lungo la schiena: una statua di Cristo martire ci guardava sofferente da un sarcofago di legno, seppellito dalla la polvere vorticosa di una giornata scura e piovosa.
-‘Tutto si è fermato, cos’altro troveremo?’- La curiosità ebbe il sopravvento ed esplorammo tutto il paese, ogni casa, ogni stalla, fino ad arrivare alla Fattoria. La grande villa padronale, con tanto di torre e cantine, si stagliava imponente al termine del paese. Uno stemma rosso con due leoni, motivo ricorrente in tutto il paese, riportava la data di edificazione 1883.
Ebbene, non entrai a villa Rochefort prima del 2013, durante una piena e fortunata giornata di settembre, e forse è stato meglio così.
La leggenda, e anche alcune testimonianze, raccontano dello spirito dello zoppo: un’anima infestante capace di far aprire e chiudere gli infissi della residenza a piacimento.
Personalmente non ho sentito il passo assenato dello zoppo, cosa che sicuramente avrei invece sentito se fossi entrata nella villa durante il temporale di 5 anni fa.
La grande fattoria è articolata su tre piani, più la torretta, e viverla tutta d’un fiato dopo così tanto tempo è stato davvero divertente: i corridoi scuri rivelano entrate nascoste verso stanze complete di letti e cassettoni di legno, la sala degli specchi, permette di giocare nei riflessi e di scattare infinite fotografie senza pensare alla lenta vita che sarebbe toccata ad una pellicola da 30.
Una seconda leggenda, ma sicuramente più probabile della prima, narra che il conte di Rochefort impazzì nella villa e, pensando di vivere come il Re Sole, creò una residenza di lusso senza precedenti nella zona.
Oltre al grande salone dipinto con gli stemmi delle casate, si accede ad una scala che porta ad un secondo piano mansarda e ad una stretta scala per arrivare in cima alla torre. Da qui, nel 2012, alcuni vandali lanciarono un pezzo di cemento sul tetto, sfondandone una parte e devastarono alcune vetrate.
Tuttavia, la vista che si gode dalla torre è unica: le colline verdi con i loro boschi avvolgono il paese incantato, dormiente di Buriano ma ancora per poco: U.B. è tornato nel suo paese e tutto sta per cambiare: la villa è stata definitivamente chiusa (per un tempo anche abitata), i giardini sistemati e gli altri stabili sigillati.
Che il piccolo villaggio toscano torni di nuovo a vivere?
Elvira Macchiavelli