Un ricordo, un incontro, un libro
A 25 anni dalla chiusura della casa saveriana di Vacchereccia, una pubblicazione, che potremmo definire “insperata”, ricorda la presenza saveriana e i confratelli che vi hanno vissuto (1963-1981).
Una pubblicazione “insperata”, dicevo, perché non è stata programmata dall’istituto o da qualche organismo, ma pensata e voluta da un amico. Nasce infatti dal ricordo di questa casa e di alcuni saveriani che vi hanno vissuto. Un ricordo rimasto nel cuore dell’autore, il signor Carlo , a quel tempo bambino. Un ricordo che si è rafforzato con l’incontro, fortuito e provvidenziale, con padre Francesco, ultimo rettore della casa.
I saveriani dei ricordi
Il libro, dopo una breve introduzione sui missionari saveriani e sul nostro fondatore, il beato Guido Conforti, racconta la storia di questa presenza in T., per passare a descrivere la vita e l’opera missionaria dei vari rettori che si sono succeduti nella casa. Seguono alcuni profili di persone del mondo ecclesiale e civile della zona, che permettono di inserire la presenza saveriana nella chiesa e nella società del territorio.
I rettori saveriani, di cui si parla nel libro, sono: p. Angiolo Poli, fiorentino; p. Mario Sguazzi, cremonese; p. Mario Ghezzi, milanese; p. Francesco Sinibaldi, romano; p. Francesco Cavallo, barese. C'è anche una breve presentazione di p. Martino Cavalca, cremonese. Nell’introduzione, mons. Vincenzo Rini, direttore di “La vita cattolica” di Cremona, fa riferimento ai saveriani da lui conosciuti: p. Rosolino Rossi, p. Mario Sguazzi, p. Angelo Scaglia (“uomini intrepidi che hanno donato tutta la vita per Cristo”), p. Giovanni Castelli (“pietra miliare nello sviluppo dell’istituto saveriano”), p. Sandro Parmiggiani (“amatissimo animatore missionario nella diocesi di Cremona”).
Casa di riposo e di cura
Nell’introduzione al libro, che l’autore mi ha chiesto di fare come superiore generale dell’istituto, ho scritto: “La presenza saveriana a Vacchereccia può essere considerata come una cenerentola, sia per la durata, sia per il compito, in un certo senso marginale nella strategia della congregazione in quegli anni di grande sviluppo. Nella lista delle varie case, questa infatti non portava il titolo di casa di formazione per allievi missionari e neppure casa di animazione missionaria e vocazionale, ma casa di riposo e di cura”.
Non mi sarei quindi mai aspettato che qualcuno potesse pensare a scrivere un libro sulla presenza dei saveriani , soprattutto a 25 anni da quando l’ultimo saveriano ha chiuso questa casa. Eppure, questo è stato possibile grazie all’amicizia dell’autore con i missionari saveriani che hanno vissuto in quella casa. Il signor Carlo scrive: “Il mio lavoro è semplice, realizzato da un cristiano semplice e convinto... Ho cercato di fare del mio meglio… La pubblicazione avrà una finalità benefica: gratuitamente ricevo e gratuitamente intendo dare”.
Missionari in preghiera
Generalmente, l’immagine che noi abbiamo del missionario è soprattutto quella di uomini di grande attività. Al contrario, dei confratelli vissuti in questa casa di riposo e di cura, missionari anziani e spesso malati, l’autore ricorda soprattutto la loro preghiera. Questo libro ci può ricordare che anche i missionari diventano anziani e malati, ma che, anche in questa loro situazione, essi non sono meno missionari.
Il libro ha il pregio di tener viva la memoria di fatti e persone in un modo molto semplice, accessibile a tutti. Ricordare è senz’altro una cosa molto importante. L’augurio è che non sia solo un’operazione di storia passata, ma che possa suscitare nuovo slancio missionario.