Si svolgera' sabato 21 Settembre la visita al Museo e gallerie della SMI di Campotizzoro. La visita che effettueremo non sara' fine a se stessa ma se avremo le possibilita' cercheremo di offrire ai nostri "visitatori" delle "chicche" che altrimenti non e' possibile esplorare! Ho volutamente ripreso cio' che ha scritto Elvira quando abbiamo effettuato la nostra prima visita a Campotizzoro....
Il paese dove la storica fabbrica SMI (producente munizioni, materiale bellico, rame, acciaio, pyrotex…) si trova in provincia di San Marcello Pistoiese e ci ha regalato fortissime emozioni.
Il ritrovo viene fissato per le 10.20 circa e siamo tutti pronti con biglietto di entrata alla mano per visitare prima il museo SMI.
Allestito in uno dei tanti capannoni militari, l’esposizione ‘musei e rifugi SMI’ accoglie una quantità impressionante di bossoli e proiettili, i macchinari per il controllo delle cartucce, i primi ‘cartelli monito’ per tutelare la salute dei 6000 operai (picco raggiunto nel 1943). Nello stabilimento non si costruivano solo munizioni (come i letali proiettili Vulcan nel 1972) ma si lavoravano anche prodotti chimici tra cui il meno pericoloso era il mercurio. Anche il rame veniva lavorato, e più recentemente, venne effettuata anche la produzione di cavi ad alta elettricità, e persino i tondelli di rame per i centesimi di euro venivano da questa fabbrica.
Costruita in solo un anno (dal 1911 a 1912 e chiusa definitivamente nel 2006), l’impresa bellica idealizzata e gestita dalla famiglia di imprenditori Orlando, viene posta proprio in San Marcello Pistoiese per vari e vantaggiosi motivi. La zona è in forte depressione, con un’alta percentuale di analfabetismo, la manodopera costa poco, ad appena cinque km di distanza c’è la ferrovia di Porrettana per il trasporto delle merci, ed inoltre è chiave il ruolo del fiume con acqua particolarmente priva di calcare.
Con la fabbrica nasce Campo Tizzoro, con la fabbrica nasce la scuola SMI ad avvio professionale verso l’industria bellica, con la fabbrica nascono i sette bunker per salvare le vite dei suoi preziosi operai. Una bobina, come quelle di rame prodotte dallo stabilimento, che si snoda lungo chilometri e chilometri, sono le gallerie di Campo Tizzoro. Passati da una pesante porta blindata di una delle tante strutture a forma di missile che si trovano in giro per la cittadina, ci siamo addentrati a venti metri sotto terra. Temperatura costante 10 gradi con l’umido che trasuda dalle pareti di cemento armato spesse tre metri, il bunker, in caso di allarme aereo doveva contenere tutti i dipendenti della SMI. Sulle pareti le scritte dicono di stare calmi, che solo così ci si salva la vita, di rimanere seduti per non consumare tutta l’aria della galleria, di non fumare di non sputare. La cappella, l’infermeria ed il dormitorio di fortuna, i bagni alla turca, i medicinali americani, tutto ancora conservato. Molte gallerie sono crollate, altre sono in disuso o sigillate. Erano sette le entrate ai bunker e le gallerie erano collegate tra loro per garantire sempre una via di fuga.
Dopo la visita guidata, da bravi urban explorers, alcuni di noi decidono di approfondire la propria conoscenza territoriale di Campo Tizzoro, intrufolandosi nell’area ancora abbandonata della ex fabbrica SMI.
Abbiamo camminato come in un bosco che celava sorprese e tesori, abbiamo incontrato la pioggia, abbiamo attraversato un ponte di quel fiume di cui proprio la SMI si serviva. I capannoni spuntavano in continuazione dopo ogni collina e attraversato ogni cunicolo scavato nella roccia. Red e i cartelli arrugginiti ci facevano da guida. In particolare un avviso dallo sfondo ruggine, posto sulla parete di una piccola struttura incassata tra le mura di pietra avvertiva: locale 319, preparazione premiscele esplosive umide, deposito miscele umide, deposito stifnato di piombo e tetrazene umidi, dosaggio tritolo ed essiccamento e dosaggio pentrite quantità max kg 120 operai max 6. Un bel posticino dunque.
Laboratori crollati, i segni dei barili di stoccaggio ancora visibile sulle mattonelle, le pareti in eternit, i forni per le capsule, i contenitori per lo stoccaggio di mercurio. Ancora tutto come all’ora.
Ad interrompere l’idillio romantico tra vento, fronde degli alberi e lo sciabordio delle acque è il vocione di Rodolfo che intima ti spostarsi dalla visuale del suo obiettivo ogni qualvolta che ognuno di noi prova a camminargli davanti. (XD)
Dulcis in fundo un pittoresco alberghetto abbandonato (ristorante albergo Tripolitania) che si trova proprio in prossimità dell’area industriale appena esplorata.
Uno sfacelo. I soffitti ovviamente crollano al piano superiore, i pavimenti sono tutto un bozzo, e le camere! Ci sono ancora i letti, le materasse i quadri appesi alle pareti. Ma la cosa più particolare è stata la cucina. Le pentole sui fornelli, le teglie nei forni, la foto della cuoca in un cassetto, tra uno stampino per tortelli e le confezioni di pinoli. Il bar offre ancora il gin e il whiskey il tutto regolarmente prezzato sul menù. Bisogno di un bicchiere? C’è un carrello pieno e le credenza pululano ancora di piatti e stoviglie. Per effettuare una prenotazione nessun problema: il telefono è ancora alla concerge così come il registro degli ospiti. Se volete svagarvi c’è la televisione, e magari ci scappa anche una partita sul bel tavolo da biliardo in legno massiccio…palla in buca.
Elvira Macchiavelli