Durante una di quelle sere in cui torni a casa con i vestiti ancora impolverati e lerci e l’unico tuo pensiero è infilarti sotto un getto di acqua bollente, ti prepari già a figurare le tue foto sul computer pensando a chi farle ammirare oltre a te: con chi condividere le tue emozioni, le tue scoperte e i tuoi timori. Ti trascini per tre piani di scale, ancora scale magari dopo tutto un giorno che vai su e giù per palazzoni umidi, con gli anfibi pesanti e scricchiolanti. Prima di varcare la soglia di un luogo abitato dopo ore di inciviltà casalinga, ti stupisci che basta una chiave per aprire una porta, e soprattutto ti stupisci nel trovare una porta che si apra facilmente e senza intoppi. Dopo di che ti siedi sul pianerottolo e cominci a sfilarti gli anfibi senza osare vedere che cosa è incastrato sotto la para.
I pantaloni li sfili con cautela perché magari qualche spina ribelle decide di incagliarsi in qualche tessuto morbido mentre soffuse nuvolette di polvere si levano nell’aria nuova. Poi te ne rimani con quella magliettina streminzita tutta sudata e piena di ragnatele che ti levi appena puoi scaraventandola a terra e guardandola con disprezzo ma anche commiserazione per il servizio prestato. Adesso bella nuda come un bachetto da seta saltelli sui calli dei piedi fino al bagno, aprendo l’acqua della doccia benedetta. E tutto il torpore lievita nell’aria calda e profumata. Tutte le emozioni trasudano e si sciolgono nei rigagnoli delle vene sostituendosi al sangue.
Ancora con i capelli bagnati ti precipiti in camera, attacchi la Nikon al computer e cominci a scaricare quelle trecento foto che accuratamente ordinerai e raddrizzerai se necessario. Infine aspetti la dolce metà per rincoglionirla con le tue storie e avventure in un dialogo grottesco, incomprensibile se non conflittuale.
-Non pensi mai ad una trave che può cedere sotto i tuoi piedi e cadere nel vuoto?- Domanda X. con gli occhietti piccoli e indagatori. L’aria leggere ed estiva; il tramonto illumina un vecchio scheletro di una fabbrica all’orizzonte creando un bel quadretto romantico decadente. Seduta di fronte con le mani che rovistano nei capelli troppo lunghi per saperli gestire, lo sguardo luccicante, rispondo:
-No, perché se lo penso non camminerei più.
Ancora ribatte X. sospirando:
-Non pensi mai ad una tegola che precipita dal soffitto e ti cade in testa facendoti svenire in un lago di sangue e di polvere?
Sicura rispondo, girandomi ora verso di lui:
-No, perché se no non avanzerei mai per un corridoio.
-Non pensi mai che un giorno mentre sei lì, inciampi in un cadavere venendo implicata in alcune indagini dalle quali potresti trarre solo guai?
Mi faccio pensierosa:
-Mmm, a questo si ho pensato. Dico annuendo.
-E dunque?
-E dunque niente ci ho solo pensato.
-E se un giorno trovi delle tracce di sangue su per una scala?
Lo sguardo si è fatto fisso, mentre il cielo imbrunisce sempre più.
-A bè, mi è successo…- Gli dico con un po’ di rammarico perché ho capito dove vuole andare a parare.
-E allora che hai fatto?
-Nulla, le ho fotografate.
-E non hai pensato che magari il killer ti avrebbe potuto vedere, seguito, pensando che tu gli avresti potuto rompere le uova nel paniere con le tue foto, e infine trovato, ucciso e seppellito nel giardino di quei posti che ami tanto? Eh? Ci hai mai pensato?
-E’ una cosa terribile questa e comunque non sono mai sola, e non è detto che ci sia per forza dietro un omicidio! Riconosco che in questi posti ci vanno cani e porci ma che ci si può fare? Succede e basta! Quando vai è meglio se non ti poni troppe domande…lasciali a quando sei a casa gli interrogativi…
-Comunque dici che è una cosa terribile la storia del killer ma è una cosa che può essere vera! Il killer non ha problemi a uccidere, e due persone in più due persone in meno non fanno certo la differenza.
-Quindi? Gli domando quasi rassegnata.
-Quindi fai sempre come diavolo ti pare!-Sbotta lui-Basta che poi torni a casa.