Conosco (ed amo particolarmente) il complesso dell’ex Ospedale Psichiatrico di San Salvi, che è nel mio quartiere, a due passi da casa mia. Una struttura che ha intrecciato la sua storia con quella di noi abitanti, e che è stata parte integrante della nostra vita quotidiana.
Per questo motivo, quando alcuni giorni fa si è presentata l’occasione di partecipare ad un evento organizzato dalla compagnia teatrale Chille de la Balanza, la passeggiata “ C’era una volta…il manicomio “, l’ho colta al volo immediatamente. Durante una visita a San Salvi, Rodolfo ed io abbiamo conosciuto Claudio Ascoli, fondatore del Chille de la Balanza; un incontro coinvolgente e stimolante, al termine del quale ci ha proposto di assistere allo spettacolo itinerante del 4 ottobre specificando che sarebbe stata un’edizione speciale della “passeggiata”, rivolta ad un pubblico di sordi, perciò tradotta in LIS (Lingua dei Segni Italiana, cioè la lingua utilizzata dalla maggior parte dei sordi per comunicare).
Siamo stati entusiasti di accettare, e ansiosi di vivere questa esperienza.
Appena arrivati troviamo la sala già piena. Circa quaranta associati dell’ENS, l’ Ente Nazionale Sordi, provenienti da Firenze e Prato, trascorrono l’attesa scherzando e scambiando vivacemente opinioni. Le mani volano rapide e leggere come ali di farfalla, gli occhi brillano di interesse e di determinazione. Ci sistemiamo e poco dopo inizia la prima parte dello spettacolo.
Claudio si presenta e Alessandra Biagianti, l’interprete, inizia a tradurre mentre lui spiega l’evento di questa sera: passeggiata “C’era una volta…. il manicomio” tradotta in lingua LIS,. Mostra come, in LIS, le parole “passeggiata” e “teatro” siano molto simili, infatti stasera il teatro accompagna lo spettatore in una passeggiata virtuale e reale nel cammino della diversità.
Se “diverso” significa non corrispondere ad un modello standard, considerato istituzionalmente “normale”, siamo tutti diversi. Il sordo è diverso, il matto è diverso, e la diversità è temuta, isolata, etichettata. In manicomio venivano spesso rinchiuse una serie di categorie che non c’entravano affatto coi matti; i poveri, le ragazze madri, gli omosessuali, gli alcolisti.
Il pubblico è attentissimo e partecipe, e ad un certo punto fa notare che non riesce a vedere bene Alessandra. L’impasse viene superato da Claudio che fa portare un cubo di legno sul quale sale la nostra bravissima interprete, e lo spettacolo può continuare.
Passa a leggere la lettera di un matto. Una delle frasi è questa: << La società ha i nervi troppo fragili per sopportare la presenza dei matti al suo interno, Bisognerebbe prima curare la società perché possano farne parte >>. Una pietra.
Una breve, divertente incursione nell’attualità, spiegando cosa significavano ieri i termini “pensione” e “lavoro”, e cosa significano oggi. La pensione “Tourbillon” e l’inseguimento della borsa conquistano l’applauso degli spettatori, e stavolta le mani frullano in alto allegramente.
Per capire cosa succedeva realmente nei manicomi, tutti gli spettatori sono coinvolti nel rappresentare alcuni momenti salienti della giornata del matto: la conta, il pasto e la contenzione fisica.
Un ottimo modo per sfatare certi luoghi comuni quali “ il matto mangia con le mani ed è sporco”. Basta provare a mangiare gli spaghetti con il cucchiaio, come erano costretti a fare loro, per concludere che le due alternative sono: il digiuno, oppure residui di sugo e spaghetti dalle orecchie alle ginocchia.
Vengono proiettati uno spezzone del film di Bellocchio “Matti da slegare” ed un film in super8, che ha per soggetto una festa dentro San Salvi alla quale partecipano tutti: matti, infermieri, cittadini. Lasciano un turbamento ed un’amarezza che durano a lungo.
Inizia la seconda parte dello spettacolo, e usciamo all’aperto. Nel cortile, Claudio parla dei 5000 alberi del parco, e del futuro di San Salvi, entrambi a rischio Provocatoriamente, propone di abbattere gli alberi per costruire le bare delle 5000 persone che, una volta sparito il polmone verde, moriranno per carenza di ossigeno.
Ci incamminiamo, e lungo il percorso Claudio ci mostra il serbatoio per l‘acqua (prima opera in cemento armato realizzata a Firenze) e l’impianto di riscaldamento; entrambe le strutture servivano allo scopo di assicurare una completa autonomia alla “cittadella “ di San Salvi; peccato che l’impianto abbia continuato a riscaldare per anni anche le strutture dismesse, con uno spreco enorme di denaro, prima di essere sezionato.
Poi legge due lettere di un paziente, Giacomo Tarantini. Una scritta al direttore dell’Ospedale, appena entrato (nella quale chiede, piuttosto pacatamente, di poter uscire dal complesso perché la segregazione può essere nociva al proprio equilibrio mentale) e una dopo tre anni di “cura” nel reparto 3°, alla Segreteria generale del Partito Comunista dell'Armata Rossa, Al Segretario Generale della Zona di Firenze ( nella quale con tono farneticante invoca l’intervento dell’armata per liberarlo dalla reclusione ed eliminare “ con opportune azioni di guerra” i clericali, i preti e le donne ).
Fa notare due spaventosi esempi di ristrutturazione. Al piano terra e al primo piano di una palazzina sono intervenute separatamente tre ditte, così al piano terra abbiamo porte-finestre di alluminio e finestre color ambra, al primo piano finestre bianche. Uno dei loggiati aveva gravi problemi di infiltrazioni al soffitto; invece di ripararli è stato posto un controsoffitto, che con il tempo ha ceduto, e per risolvere il problema…..la soluzione è stata di collocare un nuovo controsoffitto sotto il primo!
Ci mostra uno stupendo, secolare cedro del Libano, e spiega che si è tentato salvarlo, così come si lotta per molti degli altri alberi che stanno morendo. Diverse persone ne hanno “adottati” alcuni, e una piccola targhetta bianca, attaccata al tronco, lo testimonia.
Mentre tornavamo al punto di partenza, Claudio ha proposto di concludere la serata con un girotondo intorno all’albero da cui eravamo partiti, chiudendolo nel cerchio delle nostre mani unite.
Una serata ed un’esperienza indimenticabili, che mi hanno fatto riflettere su alcune cose.
Se San Salvi è diventata da città chiusa, creata per confinare la diversità e allontanarla dagli occhi e dalla vita delle persone “normali”, città aperta dove i confini e le diversità sono vissuti e accolti, noi dovremmo guardarci dentro e fare altrettanto.
Abbiamo visto i sordi affrontare e superare l’ostacolo di una limitazione sensoriale, impegnandosi con tutte le proprie forze ad utilizzare un mezzo che gli permetta di comunicare con gli altri e di relazionarsi nel modo più efficace e completo. Aprendosi, accettando le proprie e le altrui diversità.
E noi, che sentiamo ma non ascoltiamo, che guardiamo ma non osserviamo, attenti a rientrare nei modelli canonici di normalità e pronti a temere, isolare ed etichettare la diversità perché siamo impreparati e inadeguati ad affrontarla, ci barrichiamo in una città chiusa ad ogni reale contatto.
Di che lingua abbiamo bisogno noi, sordi, ciechi e muti per spalancare occhi, mente e cuore e trovare il mezzo di aprirne le porte?
Mi sono dilungata, e me ne scuso. Vorrei avere l’occasione di ringraziare Claudio, Alessandra ,tutto il Chille, e, di tutto cuore, gli amici dell’ENS che hanno reso ancora più speciale un evento unico. Un grazie di cuore a Rodolfo e a Luciana, che aspetto…..