Lo spirito di un luogo non si
ricerca soltanto nelle mura decrepite e nei rovi di un giardino, si trova anche
nelle persone. Vive. Esplorazioni Urbane, ha creato grazie anche
all’associazione Onlus, un reticolato di anime e di esperienze che hanno fatto
crescere la memoria collettiva. Quello
di sabato 9 luglio è stato il verdetto finale che ha finalmente ridonato
giustizia e luce a quel Poggio alle Croci di Volterra, da troppo tempo sotto un
velo di tenebra. L’iniziativa di condurre persone estranee (e altre invece
molto affiatate) al tema della malattia mentale è stata un nobile gesto che
sicuramente ha risvegliato ‘coscienze’. Le visite al padiglione Charcot e
Ferri, testimonianze di un buio capitolo italiano terminato negli anni Settanta, ha stimolato curiosità, domande e perplessità
nei visitatori. Il proffessor Lippi (ex psichiatra operante al manicomio di San
Girolamo) ha offerto i suoi ricordi e la sua testimonianza, ai gruppi che,
numerosi, si sono incamminati sino al Ferri per assistere ad un singolare
spettacolo: i graffiti di Nannetti Oreste Fernando. Se originariamente ricoprivano, con le loro
frasi enigmatiche, i 180 metri della superficie del Ferri adesso, dopo anni di
degrado che tutt’ora continua, i graffiti visibili ricoprono appena il 70%
della superficie del muro. Per chi non lo sapesse Nannetti Oreste Fernando (o
come preferiva chiamarsi lui stesso ‘colonnello astrale’ , Nof, Nanof, oppure
Nof 4) è stato un utente della sezione giudiziaria Ferri dal 1959 al 1961.
‘Lungo, spinaceo, con il naso ad Y’ (così si descriveva) impiegava giorni
interi ad incidere con la cinghia del suo ‘panciotto’ statistiche, memorie
biografiche, la vita nel manicomio e deliri. Il tutto con una calligrafia
singolare ed unica: i suoi graffiti sono spigolosi e taglienti: geroglifici di
una mente unica che oggi sono diventati esempio di Art Brut. Nel ‘61, Nof è
stato trasferito alla sezione civile Charcot. Anche qui il lavoro di Nannetti
non si è fermato. Su di una parete ci sono ancora alcuni graffiti, mentre
quelli vicino alla sala caldaie sono quasi scomparsi (giusto sopravvive qualche
lettera, mentre ‘le stelle sono cadute’). Il dottor Lippi si sofferma ad alcuni
graffiti: un veliero simboleggia la marca di sigarette preferita dal colonnello
astrale, un viso di donna rimanda alla sua fidanzata, Milena che non vedrà mai
più. Le antenne e i messaggi radio creano una corrispondenza tra la voglia di
comunicare telepaticamente con lo spazio e con il mondo. Attenzione: quanti di
voi conoscono il graffito della ‘Fata’ o del ‘carabiniere’? Ebbene questi non
sono di Nof. Nof che aveva anche inciso una ringhiera di una scala che…è stata
gettata via, così come tanti fogli con i suoi graffiti disegnati con il
‘penname’(così Nof chiamava la penna biro).
Verso le 20.00, ‘sul far
della sera’, lo Charcot comincia a divenire lo sfondo e una anello del passato
che si collega, forte, con la sua presenza, al presente. Nella pista da
pattinaggio, polvere di stelle, le tre canzoni inneggiate dal coro delle ‘apparenti
stonature’, gli utenti del centro diurno di Volterra, si disperdono nell’aria
di Poggio alle Croci. Rimbombano
perfette nei corridoi disabitati dei padiglioni finalmente vuoti, riscattando
la propria speciale esistenza, rompendo quella catena che da troppo tempo ha
tenuto prigioniere le persone negli ospedali psichiatrici. Le voci dei cantanti
comunicano i loro amori, scherzano sulla loro situazione, ma non smettono mai
di ripetere che ‘Noi siamo ancora in
gioco e che la vita è bella già così.
Lo Charcot adesso è un
colosso illuminato, intorpidito e svuotato dei suoi ‘elementi’ (non ci sono più
i vecchi macchinari, la stanza con l’acqua adesso è asciutta, e la poltrona
arancione buttata chissà dove) che sovrasta artisti e spettatori. Alle 21.30 ha
inizio l’atteso spettacolo di Simone Cristicchi. Propongo una piccola
osservazione: la rappresentazione C.I.M. centro di igiene mentale proposto
dall’artista e dai suoi collaboratori è stato un esempio di metateatro. Scusate
il termine pirandelliano ma non c’è altro modo per esprimermi. Si, Cristicchi
ha inscenato una neo forma di metateatro perché ha rappresentato la vita del
manicomio in un contesto simbolico e allegorico, allo stesso tempo di matrice
realista. Mi spiego meglio al lettore. La simbologia ‘del pazzo’ come uomo
trasandato, perso, con solo delle candele come punto di riferimento,
rappresentano l’instabilità: basta un soffio di vento e la ragione si spegne
e il personaggio esce di scena. Lo
stesso Cristicchi potremmo includerlo tranquillamente non come narratore ma
come ‘schizofrenico del palco’. Infatti lui stesso alterna momenti rigorosi
(come suonare e cantare quelle canzoni che non possono far altro che svegliare
le famose coscienze) a momenti di pazzia totale, espressi non nei gesti ma
negli sguardi. La volontà di voler rappresentare più realtà, il manicomio oggi
(ricordo e memoria) ieri (tortura) e domani(cura e umanità) è stato possibile
grazie ad ottimi ‘momenti’ che hanno spiegato che cos’era, per l’appunto, la
malattia mentale ‘ieri’, e i relativi modi per ‘curarla’, e la malattia mentale
oggi. Oggi oltre che ricordare la realtà dei manicomi, infatti, intendiamo la
malattia mentale come una specie di forma di libertà intellettiva compresa dai
più (anche se non sempre è così). Si cerca di integrare le persone speciali in
strutture accoglienti, soddisfare i loro bisogni ed esigenze e nel contempo di
stimolarli alla vita reale. Ma non solo: oggi sappiamo quali forme di patologie
esistono anche se difficilmente si possono curare. La stessa donna, Milena M.,
citata da Cristicchi e i suoi due compagni è un esempio di ‘anima perduta’.
Dopo i cicli di terapia elettroconvulsiva e iniezioni insuliniche la signora M.
crollò sotto il velo di tenebra del degrado e degenerazioni celebrale. Totale e
irreversibile. Parliamo di metateatro perché la vita in manicomio era teatro
noir. C’erano i protagonisti (i volgarmente definiti ‘pazzi’), i
co-protagonisti(infermieri), il capocomico (il dottore che credeva nel primato della
scienza e basta). Il dramma della vita
inscenata giorno per giorno, minuto per minuto, nella noia e apatia più totale.
Sofferenze e amore proibito. Situazioni disumane che magari fossero solo
teatro.
Elvira Macchiavelli