chi era Marco Cavallo

forum dedicato agli argomenti riguardanti la ex psichiatria, la psichiatria, la vita all'interno dei manicomi

17/12/2022 09:06:35
Guarda il profilo utente di Admin
Totale Interventi 1554
Massimiliano Rossi

chi era Marco Cavallo

Marco Cavallo

è una scultura di legno e cartapesta in forma di "installazione" e "macchina teatrale".

 

L'opera fu realizzata nel 1973 all'interno del manicomio di Trieste da un'idea di Giuseppe Dell'Acqua, Dino Basaglia, Vittorio Basaglia e Giuliano Scabia. È considerata un'opera collettiva realizzata con il contributo dei laboratori artistici creati all'interno della struttura nosocomiale da Franco Basaglia, allora direttore dell'Ospedale Psichiatrico, e si avvalse del contributo ideale e immaginifico dei pazienti allora reclusi. Alto circa 4 metri e di colore azzurro, come deciso dagli stessi pazienti, lo si volle di così grandi dimensioni, per poter idealmente contenere tutti i desideri e i sogni dei ricoverati, e portare all'esterno un simbolo visibile e rappresentativo dell'umanità allora "nascosta" e "misconosciuta" all'interno dei manicomi.

Divenne pertanto "icona" della lotta etica, sociale, medica e politica a favore della legge sulla chiusura dei manicomi, la cosiddetta Legge Basaglia del 1978 , nonché simbolo per gli stessi pazienti delle loro istanze di libertà, liberazione e riconoscimento della loro dignità di persone, fino ad allora negate. Da allora è esibito in tutto il mondo come installazione itinerante per sensibilizzare l'opinione pubblica e il mondo politico sui problemi della salute mentale. In Italia è stato esibito anche all' "EXPO 2015" per puntare l'attenzione sulle condizioni degli Ospedali psichiatrici giudiziari.

 

 

La storia di Marco Cavallo

 

Nel giugno del 1972, i ricoverati dell'ospedale psichiatrico di Trieste inviarono una lettera al Presidente della provincia di Trieste Michele Zanetti  con un appello per la sorte del cavallo "Marco", un cavallo reale che dal 1959 era adibito al traino del carretto della lavanderia, dei rifiuti e del trasporto di materiale vario nel manicomio. Il testo, scritto in prima persona come fosse redatto dal cavallo, ne chiedeva in luogo della prevista macellazione, il dignitoso "pensionamento" all'interno della struttura, per "meriti" lavorativi e per l'affetto che sia il personale che i pazienti nutrivano verso l'animale. In cambio si offriva il versamento di una somma pari al ricavato della vendita dell'animale per la macellazione, e il mantenimento a proprie spese per tutta la restante vita naturale. Il 30 ottobre dello stesso anno la Provincia di Trieste accolse la richiesta, stanziando l'acquisto di un motocarro in sostituzione del cavallo, che veniva appunto ceduto e affidato alle cure dei pazienti residenti nel manicomio.

Questa prima favorevole accoglienza delle autorità di una richiesta diretta da parte di ricoverati di un manicomio, allora privati dei diritti civili, venne vista come una apertura e un'occasione verso un possibile riconoscimento della loro dignità personale. Lo scrittore e drammaturgo Giuliano Scabia, l'artista Vittorio Basaglia, cugino dello psichiatra Franco, insieme ad altri operatori, a infermieri e pazienti, all'interno del Laboratorio P, installato nel gennaio del 1973 nell'Ospedale psichiatrico, uno spazio libero di creatività, idearono il cavallo, che fu realizzato sotto la direzione di Vittorio Basaglia. Era un cavallo di legno e cartapesta di dimensioni monumentali che rappresentava l'animale reale, e voleva diventare il simbolo della fine dell'isolamento dei malati mentali, un "cavallo di Troia" che potesse invece essere contenitore delle istanze di libertà e umanità dei malati mentali.  Scabia racconta così la nascita di Marco Cavallo nel libro dedicato all'esperienza, pubblicato da Einaudi nel 1976 e ristampato da edizioni alfabeta verlag nel 2011: "Terzo giorno - 12 gennaio, venerdì. [...] Dai malati emerge con più forza l'idea di fare il cavallo (sono più contenti all'idea di costruire il cavallo). Un cavallo con pancia che contenga cose. Dunque l'idea di fare una casa, che ci era sembrata nascere da un'esigenza profonda, è già saltata appena l'azione pratica ha avuto inizio".

I pazienti non si occuparono direttamente della costruzione, ma vennero coinvolti nell'opera di realizzazione dei contenuti artistici e immaginifici da inserire nell'opera. I pazienti dunque decisero il colore azzurro, simbolo della gioia di vivere e decisero che la "pancia" del cavallo dovesse contenere i loro desideri, sogni e istanze.

Un grosso problema sorse in occasione della prima esibizione nel febbraio 1973. Costruito all'interno della struttura, non si era tenuto conto delle dimensioni monumentali dell'opera e nessuna delle porte dell'ospedale era sufficientemente grande da permetterne l'uscita. La difficoltà causò la profonda frustrazione dei pazienti, dato l'evidente e immediato paragone con il loro stato di reclusione forzata, dovuta alle allora vigenti leggi ospedaliere in merito ai malati mentali. L'impasse venne risolta sfondando alcune porte e un architrave, permettendo così l'uscita dell'installazione e la rottura anche del muro reale e simbolico fra il "dentro" e il "fuori".

 

la fonte di questo post è wikipedia
17/12/2022 23:58:02
Guarda il profilo utente di rodolfo
Totale Interventi 1153
TAGLIAFERRI RODOLFO

Re: chi era Marco Cavallo

MARCO CAVALLO all'EXPO 2015

19/12/2022 23:01:42
Guarda il profilo utente di Adri
Totale Interventi 119

Re: chi era Marco Cavallo - La vera storia di un’impensabile liberazione

Il cavallo della buona coscienza

 

[Si fa buio. Peppe si alza e va sul proscenio, dove entra in un cono di luce]

 

E’ una limpida domenica di febbraio spazzata dalla bora, quando Marco Cavallo tenta di uscire dal laboratorio. E’ troppo grande, appesantito dal carico dei bisogni e dei desideri. Si dirige verso la porta principale: non riesce a passare. Prova quindi da quella del giardino, poi dalla veranda, pensando di saltare la ringhiera: niente da fare. Torna alla porta principale. Cerca di piegarsi, prova a mettersi di taglio, si abbassa pancia a terra, si ferisce. Niente. Rimane chiuso dentro. Tutti sono lì a guardarlo: è quello il suo momento. E allora nervoso, inquieto, prende a correre su e giù per il corridoio del vecchio reparto P trasformato in laboratorio, come hanno fatto per anni gli internati di quel reparto. Giuliano cerca di calmarlo, dice che bisogna aspettare, che forse non è quello il momento, che bisogna avere pazienza. I malati cominciano a pensare di avere solo sognato, secoli di grigio si fanno nuovamente largo nelle loro teste, urla disumane, assordanti ritornano alle loro orecchie. Un silenzio pesante avvolge l’intero laboratorio. Dino Tinta è un ragazzo di poco più di vent’anni, che io chiamo “figlio del dopoguerra”. La mamma, incerta e fragile, non è riuscita a evitarel’istituto per bambini e da lì è passato direttamente in manicomio. Dino ama quel cavallo. Pensate, nella sua pancia, la “pancia dei desideri”, ha trovato l’orologio che ha sempre desiderato. Quando vede il cavallo che non riesce a uscire, Dino Tinta scoppia in un pianto disperato.

A quel punto Marco Cavallo, fremendo, a testa bassa, prende una rincorsa furibonda, come impazzito, e senza più esitazione, oramai a gran carriera, si avventa verso la porta principale, oltre quel lembo di azzurro e di verde, oltre la vetrata. Saltano I vetri e gli infissi. Cadono calcinacci e mattoni. Marco Cavallo arresta la sua corsa nel prato, tra gli alberi, ferito e ansimante, confuso on l’azzurro del cielo. Gli applausi, gli evviva, i pianti, la gioia guariscono in un baleno le sue ferite. Il muro, il primo muro è saltato.

 

Breve pezzo tratto dallo spettacolo teatrale, dedicata a Franco Basaglia, con la regia di Erika Rossi, (tra parentesi), in cui prende forma un dialogo narrativo dove Beppe Dell’Acqua con Massimo Cirri, raccontano gli anni in cui la malattia mentale fu messa “tra parentesi”.

La vera storia di un’impensabile liberazione.

Ho avuto il privilegio di incontrare e conoscere Beppe Dell’Acqua che stimo tantissimo.