...Io domando al cielo nient’altro che una casa piena di libri e un giardino pieno di fiori... Confucio
Era il 26 novembre del 1975 quando a Trieste Franco Basaglia scriveva l’introduzione del libro “La real casa dei matti” di Bruno Caruso.
Nella presentazione del libro Basaglia osservava che stava nella logica delle cose che uno psichiatra presentasse una raccolta di disegni, se si trattava di disegni di matti, ma presentare in quanto psichiatra Caruso attraversando i suoi disegni su un manicomio, significava fare un discorso sui “matti”. Ricorda che nel ‘75 le battaglie contro l’assistenza sanitaria, contro la logica dei manicomi, avveniva più sul piano ideologico che sul piano della volontà, come concretizzazione dell’azione.
Dopo 50 anni di Manicomio
Nella mia libreria non poteva mancare tra i libri di Caruso, “La real casa dei matti”, anzi, erano due copie come a farsi compagnia; uno ho potuto donarlo ad un amico, sicura che ne avrebbe fatto buon uso.
Oltre che il titolo del libro, Real casa dei matti è il nome, oserei dire sfarzoso, dato all’Ospedale psichiatrico di Palermo nel 1824 ed è proprio di questo manicomio che Caruso ripropone drammaticamente una situazione che era, invero, uguale per la maggior parte dei manicomi, una scelta, tra i disegni più incisivi, capaci di riprodurre immagini a contorni molto netti e perciò molto nitidi e rappresentativi di una drammatica realtà in cui la follia esasperava la stessa follia.
La corsa pazza
Nei suoi disegni Caruso coglie miseria, povertà, degrado e abbrutimento. Coglie la follia come unica possibilità di espressione, come unica possibile comunicazione oggettiva di un’esperienza individuale in una forma concreta fatta di immagini. I suoi disegni ripropongono la drammaticità della situazione.
Come scrisse Basaglia...un volume che squarcia il velo di pietà solitamente steso sui luoghi di esclusione…
Attraversando i disegni di Caruso si snoda un percorso di suggestione, proprio come un fenomeno psicologico, come un’idea che si impone alla nostra coscienza proprio in virtù di una forza esterna: la sua forza rappresentativa. Ritengo che i suoi disegni siano una forma di comunicazione che ha inciso sulla coscienza individuale.
Osservandoli attentamente, è come se Caruso avesse voluto costruire un percorso proprio su quella realtà manicomiale che aveva potuto osservare perché in quel manicomio era stato dal 1953 per circa quattro anni, a stretto contatto con pazienti, medici e infrmieri, dalla quale esperienza o forse indagine, sono nati circa settanta disegni, che gli consentirono di fare, del disagio mentale, una lettura introspettiva. In fondo, ha posto l’arte al servizio della collettività a riflettere sul disagio psichico nonché sui nuovi orientamenti delle istituzioni manicomiali da Basaglia in poi, padre della legge che li avrebbe modificati per sempre.
Napoleone (c'é sempre un Napoleone in tutti i Manicomi)
Archeologia della memoria. Disegni che ritraggono i pazzi legati al letto di contenzione, con la camicia di forza, quello della donna che guarda davanti a sé come guardandosi ad uno speccio, altri nudi, denudati dal loro dolore. Altri, calati nel proprio incubo capace di procurare uno stato di turbamento angoscioso ad occupare tutto il loro tempo. Raccontare la realtà, quel tanto che basta a scivolare nell’incubo e nel grottesco.
Con i suoi disegni, come in una moviola, ha voluto fissare tanti fotogrammi estendendo la sua durata di visualizzazione nel tempo. Visione di degradazione, abbrutimento, miseria...follia!
Travestimento
Uomini rapati a zero, brandelli di vestiti logori, laceri, consumati. Scarpe senza lacci. Immagini che ricordano i detenuti nei campi di sterminio. Immagini secondo un modello fisso e stereotipato, quello della follia, quello del folle che urla la propria disperazione e la propria sofferenza.
Nella sua introduzione al libro Basaglia scrive: “di fronte a queste immagini, chi può dire se sia più pericoloso il pazzo o il manicomio che lo vuole fabbricato a immagine della violenza che esercita?”
Ripercorrendo le pagine del libro, la Real Casa dei Matti torna a ripopolarsi dei suoi fantasmi di dolore e brutalità, un sogno di violenza che avvolge chi osserva e indaga.
“Real Casa dei Matti”, in cui la sapiente matita di Bruno Caruso ci ha mostrato la vita all’interno dell’ospedale psichiatrico negli anni ‘50, rappresentando con i suoi titratti che cosa era la disperazione e la sofferenza dell’internamento.
"L'ira del rinchiuso" 1969 -Elogio della Follia- (Litografia di mia proprietà)