Credo Ro né l’una e nell’altra cosa. Nella nostra esperienza, siamo soliti guardare i disegni “fatti dai matti”. Dopo la legge 180, all’interno dei manicomi il disegno e la pittura sono stati strumenti utilizzati in un ottica riabilitativa, come mezzo per esprimere sé stessi e come mezzo di trasmissione di emozioni e sentimenti. Voglio ricordare che prima di allora il disegno nei manicomi veniva utilizzato dai medici per valutare i cambiamenti nei pazienti.
Ho osservato negli anni come attraverso ciò si liberassero forme e colori, di come utilizzando questa arte senza filtri, loro potessero vedere ciò che i “normali” non vedono. Quando feci uno scambio di lavoro in ambito psichiatrico in Portogallo, dissi ai colleghi portoghesi…quando i matti disegnano ritratti i visi sono sempre uguali...Piccola osservazione che fece scaturire una lunga discussione. Il tempo ha dato forma a questo pensiero.
Credo che, pur essendo tutti “matti”, esiste una variabile individuale in cui ognuno proietta nel disegno il proprio vissuto e le proprie esperienze personali. Le esperienze di vita all’interno dei manicomi erano simile per tutti, le sofferenze uguali per tutti. Ognuno di loro ha vissuto in maniera differente la stessa crudeltà di quell’istituzione.
I disegni di Caruso sono scaturiti dalla sua osservazione di quelle persone, ne ha osservato l’abrutimento e il degrado. I manicomi ne hanno esasperato la loro follia che era la sola possibilità di manifestazione. Dunque, quelle bocche spalancate, gli occhi allucinati, quelle camice di forza, sono state la riproposizione di quanto visto in quegli anni trascorsi nel manicomio dove la normalità era essere folli.
Credo che il ritratto della tua foto sia somigliante ai ritratti di Caruso così come il ritratto di Caruso è il volto della persona del tuo ritratto, perché quella persona era in quel manicomio oppure in un altro...non importa quale.
Probabilmente nella mia osservazione di tempo addietro avevo avvertito che i ritratti erano simili. Se avessi fatto allora una osservazione più attenta avrei aggiunto...simili nell’espressione, simili nella sofferenza!
Caruso ha disegnato loro, loro hanno disegnato la proiezione di se stessi. Analogia. Non credo ci fosse emulazione. Nessuno ha imitato nessuno, hanno ritratto la loro sofferenza. In fondo, in tempi differenti, abbiamo fatto la stessa osservazione.