Perchè visitare un ex manicomio? Mi sono chiesta: perchè visitare l’ex manicomio di Volterra?
A lungo ho riflettuto su questa questione e sono convinta che le motivazioni per le quali a mio modo di vedere è importante farlo, sono molteplici. Talora la parola manicomio ingenera in noi una condizione di irrequietezza e turbamento nonostante ormai possiamo osservare solo strutture vuote. Ciò nonostante il carico di mistero e sofferenza che ammanta quegli spazi delimitati da mura cadenti è greve, intollerante. Ogni qualvolta visito una struttura manicomiale mi perdo in un vortice di emozioni già vissute in “quel tempo” e con loro”, nella condivisione di esperienze di vita o meglio di “non vita” in quel luogo di reclusione.
Sono tante le persone appassionate di fotografia che amano visitare queste strutture e che, imbracciata la propria fotocamera, si recano a immortalare muri fatiscenti spesso accompagnati da suggestioni e visioni di racconti letti. Si va ad imprigionare una propria immaginazione, una irrealtà, una idea. E’ come fare un viaggio per cogliere gli angoli di un inferno mai visto ma percepito, per attraversare spazi accompagnati solo dal proprio silenzio, per perdersi nelle emozioni che recalcitrano e urlano violentemente. E come è possibile perdersi tra corridoi e stanze vuote, padiglioni e servizi, ambulatori e giardini, allo stesso modo è facile perdersi nei propri turbamenti e commozioni. La fotografia si intride dell’emozione che prova chi cattura quello spazio. Nel commentare una foto pubblicata su EU, ho espresso questo pensiero: “Non so se una fotografia possa essere l’esatta riproduzione di un qualcosa di reale. Credo piuttosto nell’esistenza di tante realtà, tante quanti sono gli occhi di chi le osserva e non solo, perchè credo che l’emotività che suscita in chi le guarda crei altrettante realtà”...
Perchè andiamo a visitare queste strutture vuote? Perchè anche i muri, testimoni delle tante sofferenze, ci parlano e raccontano di quelle vite. Raccontare o vedere ciò che resta di queste istituzioni sottintende all’idea che non prevalga l’oblio, l’abbandono del ricordo e della memoria di tutte le persone che hanno vissuto ai margini. Ecco perchè anche la fotografia dà voce all’emozione per quello che in quel momento l’occhio coglie.
Attraversare un ex manicomio è un percorso labirintico e oscuro, ma le fotografie sono state e resteranno l’elemento che hanno trasmesso e che trasmettono conoscenza, che mantengono in vita barlumi di emozioni che non devono andare perduti per mai dimenticare gli errori commessi.
Indubbiamente visitare un ex manicomi non è solamente fare fotografie. E’ anche semplicemente visitare il luogo della reclusione, della detenzione, dell’incuranza, del nulla, del silenzio, il silenzio nato dalla solitudine o della solitudine nato dal silenzio. Solitudine crudele. E’ inchinarsi davanti al dolore e alla sofferenza di tanti, inchinarsi alla storia.
Visitare un ex manicomio è andare a vedere mura incise da scritte tormentate, cameroni identificabili a luoghi di trincea, muri tinteggiati dai colori della speranza ma guardati da occhi spenti.
Dentro ogni manicomio il mio sentire è sempre intenso e profondo. Ho già raccontato questo, ma ogni qualvolta entro in una ex struttura manicomiale ancora ne percepisco gli odori, i suoni, le parole, i silenzi, le urla.
La memoria in questo caso, assume il ruolo di monito: è importante ricordare perché non accada più che si costruiscano architetture per l’esclusione.
Tutte le motivazioni per visitare un ex manicomio sono legate da un filo conduttore comune: quello di recuperare traccia di chi si era voluto dimenticare ed escludere. E’ un percorso dentro uno spazio e dentro un pezzo di storia, una conoscenza che aiuta ad abbattere i pregiudizi e annientare la paura che non ci permette di vedere l’altro nella sua unicità; ci aiuta ad abbattere il “nostro muro” di pregiudizio verso quelle vite, verso quelle anime (espressione amata da Basaglia).
Visitare l’ex manicomio di Volterra significa vedere uno dei più grandi manicomi italiani, nato nel 1887 ed esistito fino al 1978 anno dell’entrata in vigore della Legge Basaglia, legge che ha avuto il merito di aprire una riflessione sul fatto che in ogni tipo di società ci sono i poveri, i deboli e gli indifesi, e la convinzione che in nessun caso il loro stato non dovesse ledere la dignità individuale. In quegli anni furono simbolici gli abbattimenti dei muri che circondavano gli ospedali psichiatrici e studenti, intelletuali, amministrazioni locali si mobilitarono come un vero e proprio movimento di liberazione.
Ecco che ancora è stato fondamentale il ruolo della fotografia perché le immagini hanno potuto documentare la condizione di uomini e donne rinchiusi dentro le mura.
E’ importante visitare l’ex manicomio di Volterra per poter ammirare il graffito realizzato da Oreste Fernando Nannetti (N.O.F.4.) che ha vissuto nel manicomio e, convinto di parlare con gli alieni ha realizzato il graffito sulle pareti utilizzando solo una fibbia. Il suo graffito è considerato un capolavoro dell’Art Brut.
Ancora è importante perché si può visitare il Museo dove sono raccolti reperti manicomiali recuperati e conservati come testimonianza di un vissuto.
A qualsiasi motivazione ci si accosti, posso dirlo con ferma certezza avendoli vissuti quando erano popolati e affollati, poi spopolati e vuoti, che esserci è una esperienza di vita che diviene un patrimonio a livello umano infinitamente grande. Lì possiamo permetterci di emozionarci. Lì possiamo sicuramente crescere.
Tutto ciò che ho scritto mi emoziona e il mio strano desiderio di conoscere mi porta a curiosare nella mente e origliare nella emotività di chi, per la prima volta, si appresta a visitarne uno.
Affermava Franco Basaglia:
Dal momento in cui si oltrepassa il muro dell’internamento, il malato entra in una nuova dimensione di vuoto emozionale … viene immesso, cioè in uno spazio che, originariamente nato per renderlo inoffensivo ed insieme curarlo, appare in pratica come un luogo paradossalmente costruito per il completo annientamento della sua individualità, come luogo della sua totale oggettivazione.
(Basaglia 1964)