Museo della Follia
Entrate, non cercate un percorso. L’unica via è lo smarrimento
In verità il giorno in cui lo visitai ebbi il desiderio di non uscire da quel luogo. Un luogo buio e silenzioso dove ho sentito rivivere quella follia fatta di urla e silenzi. Quel silenzio dove la flebile e appena udibile voce di Alda Merini era un eco nell’aria e i suoi versi lì, ad accarezzare l’anima ...ed altre voci, anch’esse flebili a raccontare la propria storia, creando emozione e portandomi dentro ad ogniuno, con un movimento di sofferenza.
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...Entrate, non cercate un percorso. L’unica via è lo smarrimento...
Questa frase scritta su una parete completamente nera dà inizio al percorso lungo di diciotto stanze dove tutto è nero, pareti e pavimenti, percorso sconvolgente fatto di voci, parole, e le duecento opere tra dipinti, sculture, fotografie, installazioni multimediali, che hanno raccontato rigorosamente il tema della follia, portando il visitatore in una dimensione completamente “altra” rispetto alla normalità andando oltre l’arte ma non dimenticando chi ha vissuto ‘esperienza mostruosa del manicomio.
Un percorso tuttavia il cui il legame tra arte e follia era visibile e tangibile, la follia degli artisti schizofrenici i cui dipinti hanno decorato le bianche pareti dei manicomi. Uomini come Van Gogh, Ligabue, Pirandello, Bacon che hanno trasformato il loro disequilibrio in veri capolavori d’arte, introducendoci al contempo nella parte più oscura della mente umana… Arte e follia. Chissà se tra quelle cinquanta facce depositate in quella griglia illuminata dal neon ci fossero artisti folli!
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Dal libro MUSEO DELLA FOLLIA.
Da Le ragioni della follia Vittorio Sgarbi…Il Museo della Follia non è una storia della follia. E’ una serie di suggestioni, di paure, di prepotenze che dovranno riguardare anche noi, protetti e attratti dai matti. D’altra parte, non potendone fare a meno, li abbiamo fatti diventare artisti. Se la follia vive nei sogni non ci possiamo liberare di lei.
Da Sa più cose la follia della nostra ragione di Raffaele Morelli … Occhi che si perdono, occhi che vedono nella rosa il “nido di un’immensità”, come fanno gli artisti e i folli…che vedono l’infinito in ogni oggetto…Guardare l’inconsueto per cogliere ciò che è fuori dal tempo, per trovare il Senso, che è sempre più oscurato da quella prepotenza dell’Io, che domina la scena attuale. I nostri disagi sono lo specchio di una perdita di Senso…Senza immagini artistiche e senza follia perisce la creatività da cui dipende l’evoluzione della psiche umana.
Da Divina follia di Andrea Viliani…una mostra come Museo della Follia rappresenta un’ulteriore esplorazione delle potenzialità dell’arte e, quindi, del museo…
La differenza tra creatività e pazzia ha sempre avuto confini labili…oscillando tra l’esaltazione della diversità e l’isolamento dei creatori che agivano al di fuori della norma…
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Chocolate freedom
Da Il mondo vero di Sara Pallavicini… La follia fa parte della nostra vita sotto diverse forme, ma non va capita e questo vale anche per il museo. Non c’è niente da capire. Ogni descrizione è inutile. Entrate, ma non cercate un percorso, l’unica via è lo smarrimento. Questo è l’ingresso al museo, poi verrete trascinati in una condizione emotiva difficile da dimenticare, entrerete in un luogo dove tutti gli emarginati, gli incompresi, gli sconfitti diventano eroi e ci permettono di guardare la verità al di là della paura…
Da Tutti Santi di Federica Ghezzi… I volti dei protagonisti sono scarnificati o a brandelli; i corpi sono ossidati , lacerati e con arti mutilati e irrigiditi. Hanno pose e smorfie umanissime, ma i loro corpi consegnano soltanto un’eco dell’umanità vissuta. Mummie: i degenti , i medici, gli infermieri, il direttore e tutti i destini che rappresentano son tutte mummie. E Tutti santi… Tutte mummie, perché ridotti all’osso della propria umanità, tutti santi perché uniti dall’improba lotta contro la sofferenza e la morte…
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Tutti Santi - Paziente N. 1
Da La mia vita è qui nel manicomio di Lucca Mario Tobino di Isabella Tobino…Non si capì perché rendere manifeste tante sofferenze, turpitudini, violenze, costrizioni, disumanità. Ma era ciò che Tobino voleva, che si accendesse la luce, che si aprisse il velo che teneva nascosta la vita di dolore all’interno di quelle alte mura, perché i sani si rendessero finalmente conto che le cose dovevano cambiare, che i malati di mente erano uomini e donne bisognosi di amore, di una maggiore umanità…Già nel 1963 Tobino gridava alla necessità di umanizzare la cura, il rapporto col malato, amarlo come persona, occuparsi più dell’uomo che della cura…