credo che i partecipanti, me compresa, abbiano apprezzato la visita al di là dei problemi che come associazione avete avuto. Questo mi dispiace: perché in ogni cosa ci si deve scontrare sempre con volontà (o "cattive volontà") superiori. Per noi che vi abbiamo seguito però, l'esperienza è stata comunque bella, intensa e di grande umanità: siamo stati accompagnati da persone che ci hanno fatto stare bene, nonostante stessimo attraversando luoghi e "storie" terribili.
Per quel che mi riguarda, è stato davvero chiudere il cerchio di una ricerca di famiglia iniziata anni fa, quando ascoltavo i racconti della mia nonna paterna. Il suo dolore per il "fratello bello e dolce" perso in quell' universo-prigione mi ha accompagnato per anni. Del mio prozio non si sapeva praticamente quasi niente: a parte il suo lento scivolare in uno stato di malessere, che forse oggi sarebbe accolto senza arrivare a una soluzione così estrema come l'internamento. La cartella, di cui sono riuscita ad avere una copia, parla chiaro: persona buona; lavoratore; gentile. Entra al San Gerolamo a trent'anni, per una depressione post-traumatica (incidente in miniera, difficoltà nel risarcimento, problemi di "cuore"...alcoolismo del padre, violenza...estrema indigenza della famiglia) e muore dieci anni dopo, nel 1941, per "enterite e broncopolmonite": dai racconti del dott. Lippi, che ci ha accompagnato nella visita con grande garbo e competenza (anche grande umanità), ho capito che gli anni di internamento del mio prozio sono stati quelli in cui il numero di ricoverati era arrivato a oltre 4000 presenze. Le condizioni igienico-sanitarie in quella fase devono essere state "atroci" e l'entrata in guerra deve aver peggiorato una situazione già precaria. Me lo immagino Narciso, giovane ancora nel fiore degli anni, devastato dalle cure (mia nonna si ricorda che durante l'ultima visita non riconosceva più i famigliari e guardava soltato fissi gli infermieri, terrorizzato) e dalla mancanza di attenzioni, di amore (ci ho pensato: erano giovani, senza un compagno, una compagna)..me lo immagino mentre muore da solo, lontano da sua madre, dal suo paese. Nella cartella ci sono alcune fotocopie di cartoline che alcuni famigliari scrissero al direttore di allora per sapere se Narciso stava meglio, se poteva rientrare: c'è anche un bigliettino tristissimo di suo padre, il mio bisnonno. Analfabeta, qualcuno glielo deve aver scritto ma ciò nonostante si sente la disperazione del padre: non era stato un grande padre e in qualche modo la sua aggressitivtà e il suo acoolismo avevano avuto un peso enorme sullo stato mentale del figlio, che era pur sempre il primogenito. Ma ciò nonostante in quel bigliettino si sente il dolore del padre...nonotante tutto.
Narciso non è tornato a casa: è passato attraverso alcune strutture del San Girolamo, compreso lo Charcot dove sono potuta anche entrare. E, devo dire, sono stata contenta di potermi allontanare da lì: mi sembrava di vederli, i pazienti, accatastati in quella sala...brutta, spettrale. Quante solitudini là dentro.
La cartella di mio zio contiene anche una lettera, in cui gli si chiedeva se voleva far parte di un'orchestra di mandolini, visto che lui aveva questo strumento: da lì ho capito che, forse, lo sapeva suonare. Non so. Non so nemmeno se è un foglio capitato lì dentro alla "storia di mio zio" per caso. E' una cartella "lacunosa": di cure non si parla. Si annota solo la degenerazione psicofisica che lo porterà poi alla morte, anche psichica. Si chiude con una frase straziante "spento ogni barlume di vita psichica". E' un'espressione che trasuda veramente "sangue". MI chiedo quanto sia imputabile alla sua presunta malattia (ma ho davvero tanti dubbi che la fosse, anche per vari indizi che ho ritrovato anche nella cartella) e quanto invece ai trattamenti subiti nella struttura, considerato che lui come altri internati "non aveva santi in paradiso": la famiglia era troppo indigente e anche dopo la morte, riuscirono ad andare ad espletare le pratiche burocartiche non nell'immediato...quindi chissà che ne è stato del suo corpo. Il cimitero dei Reietti non c'era ancora.
Spero che si possa far qualcosa per poter recuperare un po' di quell'edilizia, che comunque ha una sua dignità: in fondo lì hanno trascorso le loro esistenze silenziose così tante persone. Sarebbe un delitto nel delitto lasciar andar tutto alla malora.
roby