Paura del diverso, vergogna e ignoranza. Per lungo tempo la malattia mentale ha prodotto il rifiuto sociale e ha consentito di giustificare la segregazione in spietate istituzioni totali. Solo negli ultimi decenni, l’evoluzione della psichiatria e le conseguenti normative, pur non riuscendo a cancellare del tutto pregiudizi e riserve, hanno aperto la porta almeno nel mondo occidentale a un dibattito teorico che ha permesso la chiusura dei manicomi e la denuncia del sistema che li governava. Ma la storia del popolo degli invisibili che in passato, sia sotto i regimi totalitari che al riparo di sistemi liberaldemocratici, sono morti annientati negli ospedali psichiatrici, è rimasta comunque per lo più sconosciuta.
Con Il cimitero dei pazzi, (Infinito edizioni) Francesco Zarzana, scrittore e autore di teatro, racconta ora almeno un episodio di quella tragedia corale dimenticata e ricostruisce, con precisione e passione, l’incredibile vicenda di quattromila malati di mente, quasi tutti sepolti senza che ne fosse riconosciuta l’identità a Cadillac sur Garonne, nel sudovest della Francia, in un cimitero divenuto nel 2008 monumento nazionale. Inumazioni di massa andate avanti non solo nel dopoguerra, ma anche (numerosissime) nei decenni successivi, addirittura fino al 2000.
Riferisce e ricorda Zarzana di come, in un paese di poco più di duemila abitanti, riposino quattromila “alienati”, la cui storia s’intreccia con quella dell’adiacente ospedale psichiatrico e del castello prigione dove erano internati i “pazzi” nella Francia del regime filonazista di Vichy che, in quel periodo, sterminò 45.000 malati di mente. Emergono allora vite “occultate, come quella di Margherite B. o di Osvaldo, fuggito con i genitori dall’Italia nei primi decenni del Novecento, insieme agli orrori di quel cimitero. Molti di loro non furono mai cercati né reclamati, invisibili da morti come lo erano stati da vivi, abbandonati dai loro famigliari, tombe rimaste senza un nome e senza il conforto del dolore dei vivi.